LE ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA NEL SETTORE SPORTIVO

1. INTRODUZIONE

Il periodo di transizione che si sta ad oggi vivendo all’ interno del panorama laburistico sportivo è il frutto di battaglie sostenute negli anni da quei soggetti che dalla pratica sportiva traggono il proprio sostentamento: i lavoratori sportivi. Il presente elaborato verterà su nozioni di diritto sindacale e su come esse si interfacciano nel mondo del lavoro sportivo, anche alla luce di norme e principi di diritto di carattere costituzionale, per concludersi con l’analisi del ruolo delle associazioni di categoria nei rapporti tra federazioni, leghe e lavoratori

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2. IL RUOLO DEL DIRITTO SINDACALE E DELLE ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA

La qualifica del lavoratore sportivo quale lavoratore subordinato determina l’applicazione delle normative di diritto sindacale e, in particolare, del principio di libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost., che sancisce la libertà di iniziativa, di scelta, di adesione e di partecipazione del singolo lavoratore alle attività dell’associazione sindacale.

L’attività delle associazioni sindacali si traduce poi nella contrattazione collettiva, per il tramite della quale vengono stabiliti livelli minimi ed inderogabili di tutela del lavoratore.

Una prima questione preliminare riguarda il tema delriconoscimento” delle associazioni sindacali da parte delle rispettive Federazioni.

Il riconoscimento federale è di importanza fondamentale per l’operatività del sindacato in quanto senza di esso, ad ogni modo il mancato riconoscimento federale può solo pregiudicare l’intensità e la qualità delle relazioni sindacali, ma non l’esistenza stessa del sindacato, essendo questa espressione delle garanzie costituzionali di cui all’art. 18 (libertà di associazione) e all’art. 39 (libertà sindacale), la cui effettività nessun disconoscimento federale può pregiudicare.

La tutela sindacale del lavoratore sportivo non costituisce propriamente novità della riforma del 2021, bensì può rinvenirsene fondamento già nella Legge n. 91/1981, il cui art. 4 al comma I recita: “il contratto individuale sia predisposto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato, ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate”.

Altri riferimenti al ruolo dei soggetti sindacali e all’uso di strumenti propri del conflitto tra i soggetti in considerazione si rinvengono al comma VII del medesimo art. 4, il quale prevede che il fondo per la corresponsione dell’indennità di anzianità sia gestito “dai rappresentanti della società e degli sportivi”, e nell’art. 8 della Legge, il quale dispone che i limiti assicurativi della polizza contro il rischio di morte e infortuni siano stabiliti dalla federazione “d’intesa con i rappresentanti della categorie interessate”.

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3. IL SINDACATO COMPARATIVAMENTE PIU’ RAPPRESENTATIVO

Le associazioni di categoria nascono con fini specifici, dettati dalla necessità di tutelare gli interessi morali, professionali, giuridici, economici, previdenziali, assistenziali e del benessere psicofisico delle categorie del mondo dello sport (atleti, allenatori, istruttori, preparatori atletici, direttori tecnico sportivi, medici e massaggiatori sportivi) evidenziando la peculiarità di interessi individuali e collettivi.

Per ogni categoria di professionisti sportivi vi è una organizzazione sindacale mentre le società sportive sono raggruppate in Leghe, che svolgono funzione di associazioni di categoria dei datori di lavori.

In base alle norme federali vigenti, sussiste l’obbligo di adesione da parte delle società sportive alle leghe cui risultano associate, obbligo che è in netto contrasto con il principio di libertà sindacale previsto dalla Costituzione quindi in negativo anche la libertà di non associarsi ad alcuna organizzazione. Tale norma federale è da configurarsi come una limitazione alla libertà sindacale delle società dal momento che la mancata affiliazione comporta l’esclusione automatica dall’ordinamento sportivo.

Dalla nozione coniata nel decreto legislativo che riforma il lavoro sportivo è possibile prendere in considerazione all’art. 2 le lettere c) e d) che offrono la definizione di “Associazione di atlete/i e Tecnici ”,  che non ricorre nei successivi articoli ove, per contro, si fa riferimento “alle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. L’unico richiamo ai “rappresentanti delle categorie di lavoratori sportivi interessate” è contenuto nell’art 25, comma 8, in tutela dei dati personali “gli accordi collettivi devono prevedere norme a tutela dei dati personali”. Anche per questo motivo, la riforma in commento è stata sottoposta, ancor prima di nascere, a notevoli critiche da parte del mondo sportivo.

Il risultato di questo delicatissimo lavoro di raccordo tra fenomeno sindacale e ordinamento statale è di grande rilevanza perché l’adattamento delle regole del lavoro alle mutevoli esigenze della società moderna e dipende, in primo luogo, proprio dall’autonomia collettiva, dalla dinamicità ed efficienza delle relazioni con la parte datoriale e dalla capacità dei contratti collettivi di dare concrete risposte alle esigenze delle persone.

Nel concreto, dunque, l’individuazione dell’associazione di categoria maggiormente rappresentativa si attua in due fasi:

  • si misura la rappresentatività di ciascuna associazione sindacale firmataria di contratto collettivo nella categoria in esame, ricorrendo agli stessi criteri di valutazione che si utilizzano per misurare la maggiore rappresentatività;
  • si procede alla comparazione del grado di rappresentatività delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori (o delle coalizioni di tali associazioni sindacali) che hanno sottoscritto i diversi contratti collettivi.

Con l’attuazione di questi passaggi si va quindi ad individuare il contratto collettivo sottoscritto dall’associazione sindacale comparativamente più rappresentativa.

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4. CONCLUSIONI

Il presente elaborato porta alla luce come il lavoro sportivo non presenti le tradizionali misure riconosciute dai contratti collettivi bensì necessiti di particolari adeguamenti a causa della natura intrinseca della prestazione lavorativa sportiva.

Per quanto la Legge n. 91/1981 debba essere considerata la pietra miliare per l’ordinamento sportivo le sue mancanze risultavano evidenti già dal momento della sua approvazione, producendo sul piano sostanziale diverse zone grigie e fallendo – almeno in parte – su uno dei suoi propositi fondanti: fornire una disciplina organica del mondo dello sport e delle figure che operano al suo interno.

Il legislatore permettendo solo agli sportivi professionisti, identificati dalle singole Federazioni, di stipulare contratti di lavoro con le società affiliate ha prodotto sul piano pratico la figura dei cosiddetti “professionisti di fatto”, cioè gli atleti che pur svolgendo l’attività sportiva a tempo pieno e sotto compenso, sono esclusi dalle tutele che l’ordinamento prevede per i professionisti. Il discrimen della qualificazione federale per la stipula di un contratto di lavoro creava, inoltre, anche una disparità di genere dal momento che l’intero settore femminile veniva escluso dal professionismo sportivo.

In un clima sociale che mutava, la Legge n. 91/1981 diventava anacronistica non adeguandosi al forte cambiamento che stava avvenendo anche all’interno del mondo dello sport. Basti pensare all’importanza acquisita negli ultimi anni dal settore sportivo femminile, che ha visto crescere notevolmente la propria risonanza mediatica. Per questi motivi, anche alla luce della riforma in vigore, determina un ruolo delle associazioni di categoria sempre più rilevante al fine di garantire, nei confronti di tutti i propri associati, quelle tutele che altrimenti non sarebbero riconosciuti dai rispettivi datori di lavoro.

Ferrara, 20 dicembre 2023

Dott. Raffaele Sero

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