DISCIPLINA E PECULIARITA’ DEL CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE NEL LAVORO SPORTIVO

1. INTRODUZIONE

Il diritto sindacale nello sport rappresenta un ambito di imprescindibile interesse per una piena comprensione dei contratti di lavoro tra atleta e società.
La crescente professionalizzazione dello sport, unita alla brevità e all’incertezza delle carriere atletiche, hanno reso la contrattazione collettiva uno strumento indispensabile per mediare tra gli interessi economici dei club e i diritti dei lavoratori sportivi.
Questo articolo si propone di approfondire lo studio della tematica in oggetto, analizzando il quadro normativo italiano di riferimento con un focus sulle peculiarità della contrattazione collettiva nel settore sportivo e sulle recenti riforme che l’hanno vista protagonista.

***

2. QUADRO NORMATIVO

Per fornire una visione completa della disciplina è necessario partire dal nucleo normativo che ne definisce i principi ed i confini. Come noto, il diritto sindacale in Italia poggia saldamente su due pilastri:

  • artt. 39 e 40 Cost., i quali garantiscono rispettivamente la libertà sindacale e il diritto di sciopero;
  • Legge n. 300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori), la cui disciplina è stata estesa agli atleti professionisti per il tramite della Legge n. 91/1981, che ha loro riconosciuto lo status di lavoratori subordinati.

Proprio la Legge n. 91/1981 ha costituito il punto di partenza per l’integrazione del mondo sportivo nel più ampio quadro del diritto del lavoro, rendendo possibile l’applicazione delle disposizioni del Codice civile in materia di lavoro subordinato agli atleti professionisti.
L’art. 1 della citata legge enuncia: “Gli atleti professionisti sono equiparati ai lavoratori subordinati per quanto concerne l’applicazione delle disposizioni del Codice Civile, con particolare riferimento agli articoli 2094 e seguenti”. In tal modo, il legislatore degli anni ’80 ha riconosciuto agli atleti una disciplina lavorativa che ne garantisce i diritti fondamentali, allineandoli agli altri lavoratori subordinati, senza pregiudicare la specificità della loro attività sportiva.

In linea generale e salvo poche eccezioni, ogni rapporto di lavoro risulta regolato da tre fonti di disciplina: legge, accordi collettivi e contratti individuali. Lo stesso può dirsi, in linea di massima, anche per i rapporti di lavoro sportivo. Qui però il diritto sindacale può risultare condizionato dalla presenza del c.d. ordinamento sportivo: le federazioni (es. FIGC per il calcio) e le leghe professionistiche (es. Lega Serie A) infatti non solo definiscono regole tecniche ed etiche per le competizioni ma agiscono come rappresentanti datoriali nella contrattazione collettiva, influenzando aspetti economici e contrattuali, definendo un dualismo capace di generare tensioni tra autonomia sportiva e tutela dei diritti dei lavoratori.
A livello internazionale, invece, regolamenti di enti FIFA, UEFA e CIO integrano e talvolta confliggono con le norme statali, specialmente in materia di trasferimenti, diritti di immagine e arbitrati.

***

3. LIBERTA’ SINDACALE E RAPPRESENTANZA NEL SISTEMA SPORTIVO

La libertà sindacale costituisce uno dei principi fondamentali del diritto del lavoro e trova espresso riconoscimento all’interno dell’ordinamento sportivo: la Legge n. 91/1981 ha sancito il diritto degli atleti a organizzarsi in associazioni e sindacati, al fine di tutelare collettivamente i propri interessi.

Tuttavia, il modello delineato dalla normativa originaria risultava fortemente limitato in termini di pluralismo: la legge non contemplava la coesistenza di più sigle sindacali all’interno di una stessa disciplina sportiva, attribuendo di fatto la rappresentanza dei lavoratori a un unico soggetto per ciascun ambito sportivo. In questo quadro, un ruolo centrale era assegnato alla Confederazione Italiana dello Sport (CIDS), struttura dicoordinamento delle rappresentanze sindacali dei lavoratori sportivi. Tale assetto, nonostante risultasse funzionale in un contesto di minore complessità strutturale del sistema sportivo, ha progressivamente mostrato significativi limiti, soprattutto in termini di effettiva rappresentatività e capacità di tutela dei soggetti più deboli, come gli atleti dilettanti. Un punto di svolta significativo è stato introdotto dal Decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, parte della più ampia riforma del lavoro sportivo. Tale decreto ha segnato un passaggio dal modello di rappresentanza sindacale unitaria a un sistema ispirato al principio del pluralismo e della rappresentatività comparata. In particolare, viene introdotta nel contesto sportivo la nozione di “sindacato comparativamente più rappresentativo”, concetto mutuato dal diritto sindacale generale e volto a selezionare le parti abilitate alla stipula di contratti collettivi di efficacia erga omnes. L’introduzione di tale criterio solleva non poche perplessità. A livello nazionale, un elenco delle organizzazioni ritenute comparativamente più rappresentative è contenuto nel Decreto del Ministero del Lavoro del 4 luglio 2014, fondato su criteri consolidati di misurazione del grado di rappresentatività, tra cui il numero di iscritti e la partecipazione effettiva alla contrattazione collettiva. Tuttavia, nel contesto sportivo, tale riferimento appare pleonastico: nell’associazionismo sindacale degli sportivi la necessità di selezionare le parti collettive abilitate alla contrattazione non si è finora posta in termini analoghi a quelli del lavoro ordinario. In ogni caso, l’inserimento della rappresentatività comparata nel settore sportivo apre scenari inediti, potenzialmente in grado di scardinare assetti consolidati. Potrebbe infatti condurre al partecipare alla contrattazione collettiva anche organizzazioni sindacali emergenti. Tale apertura potrebbe contribuire a una più equilibrata rappresentanza degli interessi, soprattutto in un contesto in cui i rapporti di forza appaiono fortemente sbilanciati a favore delle organizzazioni storicamente dominanti. A conferma della necessità di un rinnovamento del panorama sindacale sportivo si possono menzionare recenti iniziative associative, quale l’Associazione Italiana Pallavolisti (AIP). Nata nel contesto emergenziale legato alla pandemia da COVID-19, l’AIP ha posto l’accento sulla tutela delle condizioni di lavoro dei pallavolisti italiani, in particolare per quanto riguarda la protezione della maternità per le atlete e la promozione della dual career, ossia la possibilità di coniugare carriera sportiva e formazione professionale o accademica.

Tali sviluppi dimostrano una crescente consapevolezza del valore della rappresentanza sindacale anche in ambiti, come quello dilettantistico, storicamente trascurati. Tuttavia, permangono diverse criticità strutturali: le organizzazioni storiche, come l’Associazione Italiana Calciatori (AIC), continuano a esercitare un ruolo dominante, che di fatto può ostacolare l’affermazione di nuove realtà associative. Inoltre, la sottorappresentanza degli atleti non professionisti costituisce tutt’oggi una problematica di non trascurabile rilevanza, nonostante la recente riforma abbia incluso anche questa categoria nel sistema delle tutele del lavoro.

***

4. CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Cosa accomuna i contratti di un calciatore di Serie A e quelli di un operatore sportivo nelle piccole federazioni? La risposta risiede nella contrattazione collettiva, che non si limita a definire diritti e doveri, ma plasma l’intero panorama sportivo, dalla gestione delle risorse
umane alla garanzia di equità tra le parti. La stessa regola i rapporti tra atleti, club, federazioni e sindacati. Esplorare tale fenomeno significa comprendere le dinamiche che rendono lo sport professionistico una industria complessa, influenzata da norme giuridiche, etiche e sociali. Il CCNL si applica infatti ai lavoratori occupati da enti, federazioni, associazioni, società, imprese e lavoratori autonomi con o senza scopo di lucro, caratterizzati da una organizzazione finalizzata al raggiungimento dello scopo relativo alla gestione degli atleti, nonché alla promozione e/o gestione della pratica sportiva, del fitness e del benessere. La contrattazione collettiva nello sport professionistico è guidata da specifiche norme di legge contenute nella Legge n. 91/1981 prima e da ultimo il D.lgs. n. 36/2021, il quale ha riformato la previgente disciplina. Rispetto alla contrattazione collettiva “tradizionale” quella applicata al settore sportivo presenta una serie di peculiarità che ne delineano un assetto autonomo e, per certi versi, atipico:

  1. il CCNL è stipulato trilateralmente, in quanto parti contrattuali sono anche le federazioni la cui presenza si aggiunge a quella delle tradizionali parti collettive;
  2. le parti collettive stipulanti devono essere le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale delle categorie di lavoratori sportivi interessate (art. 27, comma IV, D.lgs. n. 36/2021).

Così operando il Decreto sembra dimenticare le leghe, rappresentanze delle parti datoriali le quali, sorprendentemente, non vengono menzionate diversamente da quanto espressamente prevedeva la Legge n. 91/1981. Inoltre, come già ricordato, l’associazionismo degli sportivi si articola in modo monistico, con una sola associazione di riferimento a tutela degli interessi sportivi e professionali degli associati, nonostante sia costituzionalmente garantito il pluralismo sindacale.

***

5. LA CONCRETA RILEVANZA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA: IIL CONTRATTO-TIPO

Uno degli strumenti centrali per la regolazione dei rapporti di lavoro nel settore sportivo è rappresentato dal contratto-tipo, istituto previsto sin dall’emanazione della Legge n. 91. L’art. 4 della legge stabilisce che, nei settori professionistici, il contratto individuale di lavoro dell’atleta debba necessariamente ricalcare, a pena di nullità, un contratto-tipo predisposto conformemente a un accordo collettivo. Quest’ultimo deve essere stipulato ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale competente, di concerto con i rappresentanti delle categorie interessate. La previsione normativa assegna dunque un ruolo imprescindibile alla contrattazione collettiva, che diviene fonte necessaria del rapporto
individuale di lavoro sportivo, in forza di un esplicito rinvio legale. Tale struttura normativa è stata poi confermata e rafforzata dalla recente riforma dell’ordinamento sportivo, attuata con il già menzionato Decreto legislativo n. 36. Come già ricordato, l’art. 27 – comma IV della norma precisa che gli accordi collettivi da cui deriva il contratto-tipo devono essere sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale delle categorie dei lavoratori sportivi interessati. In questo modo, la riforma non solo modernizza il meccanismo originario previsto dalla Legge n. 91, ma tenta di armonizzarlo con i principi generali del diritto sindacale, introducendo un parametro oggettivo per individuare i soggetti abilitati alla contrattazione. La funzione del contratto-tipo risponde a una duplice esigenza: da un lato, garantire omogeneità e certezza nella regolazione dei rapporti di lavoro all’interno del sistema sportivo; dall’altro, valorizzare la specificità del settore mediante una disciplina che tenga conto delle sue peculiarità strutturali e organizzative.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicabile ai lavoratori sportivi si distingue per alcune caratteristiche fondamentali: disciplina le collaborazioni coordinate e continuative, stabilisce i minimi salariali, introduce elementi di flessibilità contrattuale legati alla stagionalità, e tiene conto delle esigenze economiche e produttive dei soggetti organizzatori dell’attività sportiva. Inoltre, definisce parametri retributivi minimi e massimi, coerenti con la particolare struttura del lavoro sportivo, e considera, in taluni ambiti, l’assenza di fine di lucro quale elemento qualificante per la regolazione del rapporto. Tale architettura normativa si basa sul presupposto che il contratto-tipo non possa essere unilateralmente redatto da uno solo dei soggetti legittimati, ma debba necessariamente risultare da una procedura negoziale condivisa tra le federazioni sportive nazionali e le rappresentanze sindacali. In tal senso, il contratto collettivo diventa non solo fonte regolativa, ma anche garanzia procedurale dell’equilibrio tra le parti. Una questione rilevante e ancora oggetto di dibattito attiene alla validità del contratto-tipo in caso di mancato rinnovo dell’accordo collettivo alla scadenza triennale prevista. In tale ipotesi, la prassi e l’interpretazione giuridica più ragionevole suggeriscono la possibilità di continuare a fare riferimento al contratto collettivo scaduto, in quanto si rende necessario evitare il blocco dell’attività lavorativa. Tale soluzione, ispirata a un principio di continuità, comporta che, una volta stipulato un nuovo contratto-tipo, i contratti individuali in essere vengano adeguati alla nuova disciplina mediante un meccanismo di adattamento automatico, conforme al principio di eterointegrazione previsto dall’art. 2077 del Codice civile. Quest’ultima disposizione, infatti, stabilisce che, in caso di contrasto tra clausole del contratto individuale e norme del contratto collettivo, si applicano di diritto le disposizioni più favorevoli contenute nel secondo.
Nel contesto sportivo, questo principio assume particolare rilevanza poiché permette di mantenere un equilibrio tra stabilità negoziale e aggiornamento normativo, in un settore in cui i mutamenti economici, organizzativi e persino politici possono incidere in maniera rapida e significativa sulla configurazione dei rapporti di lavoro. In definitiva, la funzione del contratto-tipo, così come delineata dalla Legge n. 91/1981 e
ridefinita dal D.Lgs. n. 36/2021, rappresenta uno snodo fondamentale nella regolazione del lavoro sportivo. Essa riflette una scelta legislativa volta a garantire certezza, coerenza e tutela attraverso l’intervento della contrattazione collettiva, valorizzando al contempo la rappresentanza sindacale, ancorata al criterio della comparativa rappresentatività, come elemento di legittimazione democratica e tecnica nella definizione dei contenuti del rapporto di lavoro.
Tuttavia, l’efficacia di questo modello resta condizionata dalla concreta configurazione dell’associazionismo sindacale nel settore che, come ricordato, non sempre si caratterizza per un’effettiva pluralità di voci e soggetti, rendendo necessario un costante monitoraggio sull’equilibrio tra esigenze di semplificazione e garanzia del pluralismo.

***

6. CONCLUSIONI

Così come presentata, la contrattazione collettiva si dimostra, come in ogni altro ambito giuslavoristico, di vitale importanza anche nel lavoro sportivo. Il diritto sindacale è, infatti, una materia di incredibile fascino, la quale muove le fila di ogni contratto lavorativo facendosi specchio dei cambiamenti economici e sociali, poiché con essi si rinnova.
Benché si dimostri a volte imperfetta ad assolvere il suo importante compito, spesso a causa di parti contrattuali fin troppo confliggenti, la contrattazione collettiva resta uno studio imprescindibile per il professionista che intende comprendere i rapporti individuali fra la società e lo sportivo, poiché da quest’ultima plasmati.

Como, 11 aprile 2025
Maria Silvia Papagna

RIFERIMENTI

  1. Mezzacapo D., Lineamenti di diritto sportivo, Cap. IV Il Diritto Sindacale, Giappichelli, 2024.
  2. Sandulli, P., Commentario alla Legge 91/1981, Cedam, 2019.
  3. Puliti L., Profili di diritto sindacale nel lavoro sportivo, 2020.
  4. Zoli C., La certificazione dei contratti di lavoro sportivo
  5. Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. (2014, 4 luglio). Individuazione
    delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Gazzetta Ufficiale
    della Repubblica Italiana.
  6. Legge 23 marzo 1981, n. 91. Norme in materia di rapporti tra società e sportivi
    professionisti. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
  7. Legge 20 maggio 1970, n. 300. Statuto dei lavoratori. Gazzetta Ufficiale della Repubblica
    Italiana.