MARSIGLIA VAL BENE UNA MESSA

1. ANTEFATTO

È il 20 marzo 1991, nella notte di Marsiglia l’arbitro Bruno Galler ha fischiato la fine del ritorno dei quarti di finale di Coppa dei Campioni tra l’OM e il Milan. Il primo atto si era concluso con un mesto 1-1, coi rossoneri che avevano subito il primo gol in casa tre anni dopo l’ultima volta. Accadde in occorrenza della gara di andata contro la Stella Rossa di Belgrado. Malgrado la scarsa visibilità del Marakàna, Il Diavolo era riuscito a superare il turno e, dopo un memorabile 4-0 contro il Barcellona di Johan Cruijff, ad alzare al cielo di Bucarest la Coppa dalle grandi orecchie. Dopo il ciclo vincente di Arrigo Sacchi, grazie all’inserimento di nuove seconde linee –Angelo Carbone, Agostini, Gianluca Gaudenzi e Sebastiano Rossi – l’organico era svecchiato nei nomi, ma non nei ruoli. I meneghini fanno fatica in campionato, soprattutto dentro alle mure domestiche. Le condizioni climatiche avverse complicano la vita a tutti, il manto erboso del Giuseppe Meazza è basito, zuppo d’acqua in autunno e polveroso in inverno. Dopo lo scontro contro la Lazio del febbraio dello stesso anno, Baresi è uscito malconcio da un contrasto di Pazzagli. Il centrale azzurro ha rimediato un infortunio alla spalla, il quale l’avrebbe estromesso dalla sfida contro i transalpini. Il Marsiglia si deve riprendere dall’eliminazione della precedente edizione in semifinale di Coppa dei Campioni contro il Benfica. Bernard Tapie ha fatto importanti investimenti sul mercato proprio per puntare al successo continentale. Dopo il pareggio dell’andata, il Milan è uscito sconfitto in casa della Sampdoria, oramai lanciata verso la vittoria del tricolore. Alla vigilia della trasferta del Vélodrome, il dimissionario Beckenbauer, che dopo l’addio all’OM la stampa nostrana dava per vicino alla dirigenza rossonera, ha suggerito di cambiare albergo. “À jamais les premiers”, dovunque decidano di pernottare Les Phoceens, muniti di petardi e strumenti a percussione, li priveranno del sonno. Il rischio di contaminazione è molto alto, non ingerire cibo o bevande offerti dalla struttura, bensì le provviste nascoste dai calciatori nei propri bagagli a mano. Non bastasse questo ad arrischiare la loro concentrazione, si aggiunse, peraltro, una defezione tutt’altro che trascurabile. Dopo fastose annate di splendore, in quella stagione il trio degli olandesi non ha ripagato le attese e il rapporto con l’allenatore mostrava i primi scricchiolii. Gli stessi della cartilagine del malconcio ginocchio di Van Basten, il grande escluso di entrambe le partite. Benché rimanesse, fuori di dubbio, il migliore giocatore della propria generazione, è proprio la sua precarietà fisica a rendere Il Cigno di Utrecht immortale. Per la trasferta contro il Bruges, il centravanti delle fiandre ha ricevuto un’espulsione diretta per avere rotto con una gomitata lo zigomo del Plovic Provacat. A nulla è servito l’intervento dell’Avvocato Paolo Taveggia che, convincendo la Commissione disciplinare UEFA dell’involontarietà del gesto, aveva permesso la riduzione della pena da quattro a tre turni: “Quella che mi hanno inflitto è una squalifica severa, l’unica consolazione è che potrò disputare la semifinale della Coppa Campioni se i miei compagni riusciranno a qualificarsi. Non è stato facile, è stata un’esperienza che non sarei pronto a ripetere”. Dopo avere affidato la panchina al Kaiser, il patron Tapie ha cambiato guida tecnica, affidandosi a Raymond Goethals. Uno stregone dall’ego tanto grande quanto quello del proprio Presidente – un aspirante Berlusconi col complesso di Napoleone. I padroni di casa stanno meglio in campo e si portano avanti per 1-0 grazie allo splendido tiro al volo di Waddle. La tensione è palpabile, il match prosegue a singhiozzo finché, negli scampoli dei cinque minuti finali, la luce di un riflettore si spegne improvvisamente. Il Milan, sotto di una rete, si aggrappa all’episodio per urlare allo scandalo. I giocatori in campo invocano la sospensione della gara. Nel mezzo di insulti, spintoni, e sputi, dai gradoni scende in campo Adriano Galliani, che ordina ai suoi di lasciare il rettangolo di gioco: “Tutto nasce da Belgrado. Noi in quell’occasione eravamo fuori dalla Coppa e per la prima volta da 40 anni a quella parte fu sospesa una partita per nebbia a Belgrado. La rigiochiamo il giorno dopo, la vinciamo e di lì conquistiamo la Coppa dei Campioni 1989, la Supercoppa Europea e l’Intercontinentale e lo stesso facciamo nell’annata successiva. Lo stesso Dio di Belgrado non può far venire la nebbia nel mese di marzo sul mare, ha deciso di esprimersi facendo spegnere tutta l’illuminazione. E si spengono le luci. Così decidemmo di ritirare la squadra. Siamo andati vicinissimi a rigiocare la partita il giorno dopo, puntando poi a vincere la Coppa, ma non andò in questo modo”. Karlsson non può fare altro che fischiare la fine dell’incontro. Attaccandosi, perciò. alla sospensione prolungata della partita, a sanzionare il Milan era stato Senes Erzik. Tuttavia, il delegato turco avrebbe squalificato i rossoneri dalla successiva edizione della Coppa dei Campioni, sorvolando sulla condotta dei tifosi francesi i quali, per usare un eufemismo, non avevano brillato per sportività. “Lui non poté far altro che farmi capire che la partita era andata in diretta in tv in tutto il mondo e che non avrebbe potuto fare nulla. Ne ho lette di ogni su quella sera, l’unica cosa che posso dire con estrema certezza è che Berlusconi non abbia mai telefonato per ordinare di abbandonare il campo e che non abbia mai digerito quella serata”, avrebbe detto Taveggia in una recente intervista ai canali ufficiali del club rossonero. Sebbene nessuno stesse “cercando di fuggire o di trovare una scorciatoia”, Costacurta si era, così, espresso sulla vicenda: “Abbiamo scoperto l’amara verità dai giornalisti, dopo la doccia. Da quel momento in avanti eravamo consapevoli di aver preso parte a una imbarazzante sceneggiata. Il Milan campione d’Europa che scappa come se fosse a un torneo rionale”. A dirla tutta, lo stesso destino toccò, comunque, alla Dinamo Dresda;  tant’è che dopo la partita contro la Stella Rossa era seguita una sospensione per due stagioni dalla neonata Champions League. Come comunicato in una nota ufficiale, la società precisa, senza mezzi termini, che “il Milan non presenterà alcun reclamo tendente a cambiare il risultato del campo, che riconosce ottenuto dall’Olympique Marsiglia con pieno merito”. Nondimeno, col passare dei mesi la questione sembra avere perso di attrattività, almeno fino a che ad anni di distanza i tifosi avrebbero scoperto che il motivo del guasto era da imputare a un errore umano. Il pilone fu spento dal responsabile delle luci dello stadio che, in previsione dei festeggiamenti marsigliesi, aveva l’ordine di spegnere i riflettori per aprire ai festeggiamenti e, pertanto, ai fuochi d’artificio. Nell’estate del 1991, successivamente all’esonero del Profeta di Fusignano, a sostituirlo è arrivato Fabio Capello. La nuova guida tecnica diede continuità al ciclo vincente del Grande Milan, senza riuscire, però, a vendicare il suo precessore. Si tratta di una tra le delusioni più cocenti della storia sportiva dei rossoneri, nella finale di Coppa dei Campioni del 1992/93 gli sfavoriti avrebbero avuto – nuovamente – la meglio. Non prima, però, dello scoppio dell’affaire Va-OM, cui discese, oltre alla retrocessione d’ufficio del Marsiglia in seconda Divisione, la cacciata dei salii dalla Supercoppa Europea e dalla Coppa Intercontinentale di Tokyo dello stesso anno. Andiamo con ordine, all’Olympiastadion di Berlino il club gioca un primo tempo attendista, prima di uscire dalle retrovie e andare all’assalto della porta difesa da Sebastiano Rossi. Sul finire del primo tempo, sugli sviluppi di un calcio d’angolo di Abedi Pelé, l’inatteso Basile Boli incorna la palla in gol. L’atmosfera cimiteriale berlinese viene ravvivata dai boati di gioia dei francesi. Col triplice fischio hanno per la seconda volta contro la loro bestia nera che, stavolta, ha alzato loro la coppa in faccia. Eppure, giorni prima l’Olympique Marsiglia era in viaggio per Valenciennes in uno scontro destinato a definire le sorti della massima divisione francese. Gli ospiti hanno bisogno di una vittoria per tenere la vetta della classifica e vincere il titolo di campioni nazionali. All’opposto, per guadagnarsi la permanenza in prima categoria i padroni di casa non devono perdere. All’Hotel di Lac de Conde-sur-Escaut due calciatori tra le fila avversarie partecipano a un incontro clandestino. Non è una prima volta, anzi era una pratica piuttosto abituale da quelle parti. Jean-Jacques Eydelie e il dirigente marsigliese Jean-Pierre Bernèssi comprano la partita, Christophe Robert e Jorge Burruchaga intascano un’offerta di 200mila franchi. D’altro canto, con l’avvicinarsi della finale di Monaco di Baviera l’attenzione della stampa resta, comprensibilmente, ferma al trofeo più importante della stagione. La voce di un inciucio giunge all’orecchio di Jacques Glassmann, che assiste alla vittoria sul velluto dell’OM. Il centrale francese denuncia una combine.

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2. VICENDE GIUDIZIARIE

Dopo il fattaccio dello Nungesser, il giornalista Olivier Rey gli permette di raccontare i fatti nella loro interezza. Il canarino ha cantato, del resto gli era stata proposta una lauta ricompensa per comprare il suo silenzio. Il centrale non cede al lenocinio, portando, invece, la vicenda in tribunale. La Ligue, in persona del legale rappresentante Noel Le Graet, presenta una denuncia contro il procuratore Eric de Montgolfier. Il giudice Bernard Beffy ha condotto le indagini contro Tapie, il quale viene scoperto avere offerto danaro per subornare l’allenatore del Valenciennes Boro Primorac. Bernès, Eydelie, Robert, e Burruchaga sono incriminati per corruzione passiva e condannati a un’ammenda pecuniaria dai sei a due anni di reclusione. A patto di ripeterci il 6 settembre del 1993 il Marsiglia, incoronato campione di Francia, è defraudato del titolo nazionale e, assieme agli avversari, viene retrocesso, in seconda divisione. Merito dell’intervento dell’Unione Nazionale dei Calciatori Professionisti (UNFP) il coraggioso Glassmann, rifugiato per lungo tempo a Réunion, avrebbe, presto, riacquisito dignità. Il Milan punta il dito contro al Marsiglia che, senza alcuna rotazione nel precedente incontro, aveva rifiatato in tempo per la finale di Champions League. L’ennesima sconfitta di un Paese, che ha perso senza nemmeno lottare davvero. La sentenza è tolta, Bernard Tapie è condannato a due anni di carcere, di cui uno senza condizionale. Alla stregua del segretario socialista Henri Emmanuelli, il radicale parigino è vittima del giustizialismo politico del semipresidenzialismo francese. “Sono finito, questo affare mi ha rovinato”, era scappato dalle sue responsabilità tentando, goffamente, di costruirsi un alibi senza fondamento. Calato nella parte del reo confesso, l’attore e politico inscena una tragedia: “Adesso che si sanno impuniti, i giudici faranno di tutto per schiacciarmi. L’opera di distruzione totale è cominciata. La stampa troverà questo normale, tutti i processi si sincronizzeranno perfettamente. La macchina si è messa in moto, se metto un piede in galera esco fra dieci anni. Non è possibile, non posso lasciar perdere”. Il giudicato viene, successivamente, confermato in Cassazione, che l’avrebbe sollevato dall’incarico di deputato parlamentare e consigliere regionale. Un populista ante litteram, benefattore delle frange operaie del suburbi, Tapie era sofista votato all’opposizione. Non per nulla quello che stiamo raccontando è accanimento, però spesso piove sul bagnato. Nel 2006, Eydelie pubblica la sua autobiografia, in cui rivela al mondo un altro inquietante aneddoto sulla finale. Prima della finale contro il Milan tutti i calciatori dell’OM fuorché Rudi Voeller – che risponde alla stampa con un laconico “preferisco non parlarne” – avrebbero fatto uso di sostanze dopanti. Mentre Cascarino conferma la versione dell’ex compagno di squadra, Papin rincara la dose. A quanto sostiene lui, due calciatori tra i rossoneri si sarebbero venduti agli avversari. Un calcio incancrenito nella pretestuosa convinzione di farla alle spalle dell’autorità di vigilanza. La guardinga UEFA apre un fascicolo per indagare sul coinvolgimento della terna arbitrale. A esito del controllo dell’analisi sulle urine degli atleti coinvolti, l’organo requirente ha, nondimeno, confutato il supposto maneggiamento dell’evento da parte della convenuta. I rossoneri sono rassegnati all’idea di non potere aggiungere quel trofeo al proprio prezioso palmares. Guardando, però, alla questione di diritto, ammesso che i fatti siano realmente accaduti, l’epistemologia forense deve interpretare norme che, invece, non offrirebbero un’esegetica universalmente riconosciuta. Cominciamo col chiarire che il diritto dello sport è una materia speciale – la c.d. sporting exception – in quanto si affranca alla legislazione civilistica, giuslavorista, e penale nazionale, ossia federale, comunitaria ovvero internazionale. In altri termini non esiste un codice sportivo, bensì un fiume di disposizioni che tracima nella regolamentazione, dottrina, e giurisprudenza di settore. La previsione è, infatti, comprensiva dei criteri che ne definiscono la pratica. Per semplificare nella pallacanestro si gioca in cinque, i canestri valgono due punti, tranne se non infili un tiro libero, che in questo caso conta uno, oppure se insacchi oltre alla lunetta dei tre. Laddove lo paragoniamo al calcio, il campo è molto più contenuto, non c’è regola del fuorigioco, nessun portiere, la disposizione in campo è dissimile a quella del calcio, e potremmo andare avanti a lungo. Comunque, nonostante queste diseguaglianze, la fattispecie di frode sportiva non perde significatività. Contrariamente, dà evidenza di una lettura, seppure sindacabile, inossidabile.

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3. LA FRODE SPORTIVA ALLA LUCE DELLA LEGGE N. 401/1989

La manipolazione di una partita assomma tutti quegli atti, che sono “diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”. Non erodono eventuali situazioni giuridiche soggettive, invero minano quei valori di lealtà e rispetto, i quali prescindono dal gravame di una violenza sportiva. Il fenomeno va indietro sino all’introduzione della Legge n. 401/1989, quando la Commissione Disciplinare della FIGC ha cercato di arginare “interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine a tutela della correttezza nella svolgimento di competizioni agonistiche”. La ratio del provvedimento de quo era quella di preservare il principio di correttezza dello sport combattendo, quindi, l’esercizio abusivo di scommesse. A essere bersagliato è “chiunque offre o promette denaro o altre utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciuto dal CONI, dall’UNIRE o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo”. Avvalendoci di un’argomentazione a contrario, l’azione fraudolenta potrebbe rappresentare condizione necessaria, ma non sufficiente per configurare il già citato reato. Laddove non possiamo appurare l’esistenza del dolo, all’accettazione della somma ovvero all’accoglimento della promessa in denaro, siamo a contestare la consumazione anticipata del delitto. Attenzionato resta il termine “chiunque”; diffusa era l’idea che l’illecito potesse configurarsi solo nei casi in cui il comportamento fosse imputabile agli atleti e non anche a soggetti estranei all’ordinamento sportivo. L’articolo 2 della L. 401/1989 prevede, inoltre, che il dispositivo di un procedimento penale non potrebbe influenzare il rito sportivo ordinario, il quale deve vertere sull’omologazione dell’incontro. La potestà disciplinare del CONI rimane uno strumento di autoregolamentazione interna, che ovvia all’emissione di sentenze antipodiche. Una collisione da cui costituisce un conflitto, sanabile solamente attraverso il rito pregiudiziale della Corte di Cassazione, il cosiddetto giudice di rito. A questo riguardo, in osservanza dell’art. 49 del Codice di Giustizia Sportiva (CGS) “gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”. Ne discende che il delitto di frode sportiva non precluderebbe il regolare svolgimento del procedimento, che si deve alla stessa andatura dell’omologo criminale. Conformemente con l’art. 38 co. 5, lett. a)l’azione disciplinare è promossa e proseguita indipendentemente dall’azione penale relativa al medesimo fatto”. Essendo confinati nella cornice edittale della manipolazione degli eventi sportivi, in ossequio dell’art. 3 i Presidenti delle federazioni sportive, quando ne hanno notizia, hanno l’obbligo di denunciare il fatto all’autorità competente. In linguaggio giornalistico si parla di match fixing anche se è un termine molto poco aderente alla realtà, seppur ché l’istituto non trova un proprio corrispettivo nell’ordinamento vigente. Si suole credere che bisogni trarre un effettivo guadagno dall’attività illecitamente condotta.  Ciononostante, a essere compromessa è l’aleatorietà che regola qualunque evento sportivo e non un supposto valore di gratuità dell’evento. In alternativa, è sufficiente provare l’esistenza di un condizionamento del crisma di probità che regola ogni sport. Trattandosi di un match di campionato il reato di Tapie, e altrettanto della squadra, non poteva rimanere impunito. Non sorprende che il giudizio nei confronti del Marsiglia sia stato intransigente. L’accusa aveva, peraltro, l’onere di provare l’elemento oggettivo del reato di doping, ossia l’assunzione di farmaci anabolizzanti vietati. Ricadendo, d’altronde, sotto l’indice penale del “oltre ogni ragionevole dubbio” è difficilmente ipotizzabile la revoca del titolo di campioni d’Europa della stagione 1993/1994. In assenza di un precedente favorevole l’autorità giudicante è portata a optare per l’omertà della salomonica UEFA. Sicché, allargando la lente al di fuori dei confini nazionali, la disputa assume contorni indistinti.

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4. L’ADOZIONE DELLA CONVENZIONE SULLA MANIPOLAZIONE DELLE COMPETIZIONI SPORTIVE

In occasione della XIII Conferenza dei Ministri dello sport degli Stati membri del Consiglio d’Europa – svoltasi nella località di Magglingen il 18 settembre 2014 – è stata adottata la “Convenzione sulla manipolazione di competizioni sportive”, aperta alla firma degli Stati Membri, compresi i non membri in possesso dello status di osservatore presso il Consiglio d’Europa dei Paesi aderenti alla Convenzione culturale europea, nonché dei Paesi membri dell’Unione Europea. La ratifica del sopramenzionato atto attraverso la L. n. 39/2019 ha consentito di “prevenire, identificare e sanzionare le manipolazioni nazionali o transnazionali delle competizioni sportive nazionali o internazionali” al fine di “promuovere la cooperazione nazionale e internazionale contro la manipolazione delle competizioni sportive tra le autorità pubbliche interessate e con le organizzazioni coinvolte nello sport e nelle scommesse sportive”. Con la nascita del Garante del Codice di Comportamento sportivo, il CONI ha approvato i Principi di Giustizia Sportiva voluti dal Ministero dell’Interno ex Decreto ministeriale n. 11001/148 del 15 giugno 2011. È, infine, nata l’Unità Investigativa Scommesse Sportive (UISS) del Gruppo Investigativo Scommesse Sportive (GISS). Quest’insolita assertività ci rende permeabili al riformismo confederale del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), storicamente intransigente avverso la delinquenza di atleti, dirigenti, arbitri, e tesserati. In conclusione, veniamo alla domanda finale: cosa succederebbe se applicassimo la precettistica corrente? In ottemperanza dell’art. 29 delle Regulations of the UEFA Champions League del 2024: “Se una squadra si rifiuta di giocare o è responsabile del fatto che una partita (compresi i tiri di rigore) non si svolga o non venga giocata per intero, l’Organo di Controllo, Etica e Disciplina UEFA dichiara la partita persa dalla squadra interessata. Inoltre, se le circostanze del caso lo giustificano, l’Organo di Controllo, Etica e Disciplina UEFA può imporre alla squadra interessata qualsiasi altra misura disciplinare ritenuta appropriata, compresa la squalifica dalla competizione”. Altresì, volendo andare a ritroso finanche allo scoppio dei riflettori del Vélodrome, il Milan non potrebbe, neppure, lamentare la ripresa della trasferta contro il Marsiglia, dato che “l’Organo di Controllo, Etica e Disciplina della UEFA può convalidare il risultato in vigore (cioè abbandonare la partita) nel momento in cui la partita è stata sospesa se il risultato della partita è andato a scapito della squadra responsabile della sospensione della partita”. Attraverso una rete di 55 funzionari per l’integrità delle federazioni nazionali, per mezzo del programma Hat Trick, il Sistema di Rilevamento Frodi UEFA (BFDS) sovvenziona l’Unità Anti-Match-Fixing per sensibilizzare il pubblico su dette macchinazioni indebite. È fatto obbligo di astenersi da qualsivoglia comportamento, che possa danneggiare l’integrità delle odierne competizioni continentali, in modo tale da esercitare un’indebita influenza sullo svolgimento e sul risultato di una partita ovvero di un torneo. All’incontro del “più probabile che non”, coerentemente con la giurisprudenza del CAS di Losanna, quantunque la UEFA avesse l’onere di provare una violazione di quest’articolo, non è tenuta a dimostrarne l’esistenza “al di là di ogni ragionevole dubbio”, Salvo che l’organo disciplinare non decida diversamente, ai sensi dell’art. 15 del Regolamento Disciplinare UEFA, “se presentate dopo la fine della fase della competizione, le denunce relative a partite truccate non possono avere alcun impatto sul risultato sportivo della competizione o dell’incontro in questione e, dunque, la partita non può essere rigiocata”. Marsiglia val bene una messa, la resa del Milan è servito come sacrificio per preservare il sistema dalle precarietà delle cose umane.

Milano, 29 giugno 2024        

Giovanni Maria Seregni