IL DROP-OUT SPORTIVO

1.INTRODUZIONE

Il fenomeno dell’abbandono sportivo giovanile, noto anche come drop-out sportivo, rappresenta oggi una delle più rilevanti criticità sociali e culturali in ambito educativo. Sempre più ragazzi e ragazze, soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 12 e i 18 anni, interrompono prematuramente la pratica sportiva, spesso in modo definitivo, con effetti che si estendono ben oltre la semplice sfera fisica. Le conseguenze di tale abbandono si riflettono infatti sul benessere psicologico, sulla socializzazione, sulla gestione dello stress e sulla costruzione dell’identità personale.

Le cause che portano a questo fenomeno sono molteplici e interconnesse. Tra i fattori principali si annoverano la pressione scolastica e familiare, che limita il tempo disponibile per lo sport, la mancanza di motivazione legata a contesti competitivi eccessivamente rigidi o poco inclusivi, e le difficoltà economiche che ostacolano l’accesso continuativo alle attività sportive. Inoltre, la qualità dell’esperienza sportiva è spesso compromessa da un’offerta non adeguatamente calibrata sulle esigenze educative dei giovani, dalla scarsa formazione degli operatori e da una visione adultocentrica della pratica sportiva.

Il sistema scolastico, che dovrebbe costituire il primo presidio nella promozione di uno stile di vita attivo e consapevole, fatica ancora a svolgere un ruolo realmente integrato con il mondo sportivo. L’insegnamento dell’educazione fisica è troppo spesso marginalizzato nel percorso formativo, soprattutto nella scuola primaria, dove la figura del docente specializzato è stata introdotta solo di recente e in modo non omogeneo. La separazione tra attività curricolari ed extracurricolari, l’assenza di un riconoscimento formale delle competenze acquisite al di fuori del contesto scolastico e la mancanza di un sistema stabile di dialogo tra istituzioni educative e società sportive rappresentano barriere strutturali alla continuità della pratica sportiva.

Anche sul piano normativo, pur in presenza di importanti riforme come la Legge delega n. 86/2019 e i decreti attuativi del D.lgs. n. 36/2021, persiste una certa frammentazione tra i vari livelli di governo e tra le diverse agenzie educative. L’assenza di una visione sistemica e di strumenti condivisi di monitoraggio e intervento impedisce una risposta efficace e tempestiva al rischio di abbandono. Le disuguaglianze territoriali e sociali si amplificano in mancanza di politiche pubbliche capaci di garantire un accesso equo e sostenibile alla pratica sportiva.

In questo scenario, diventa essenziale ripensare profondamente il ruolo dello sport nel percorso di crescita dei giovani, valorizzandone la funzione educativa, preventiva e inclusiva. Occorre superare una concezione frammentata dell’attività sportiva e costruire un modello culturale e normativo che riconosca allo sport una dimensione strutturale nella formazione dell’individuo e nella promozione della salute pubblica.

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2. IL RUOLO DELLA SCUOLA NELLA PROMOZIONE SPORTIVA

La scuola rappresenta un attore centrale nella promozione della cultura sportiva, in quanto istituzione deputata alla formazione globale dell’individuo e alla tutela del diritto all’educazione sancito dall’art. 34 della Costituzione. Tale funzione si estende anche al diritto alla salute (art. 32 Cost.) e al pieno sviluppo della persona umana (art. 3 Cost.), dimensioni nelle quali l’attività motoria e sportiva svolge un ruolo fondamentale.

Tuttavia, il sistema scolastico italiano soffre da tempo di una strutturale marginalizzazione dell’educazione fisica, sia in termini quantitativi che qualitativi. Solo con la legge di bilancio 2020 (Legge n. 160/2019) è stata introdotta la figura del docente specializzato per l’attività motoria nella scuola primaria, inizialmente nelle sole classi quarte e quinte. Il decreto interministeriale attuativo ha previsto l’avvio progressivo di questa riforma, ma ad oggi persistono criticità legate all’attuazione non uniforme sul territorio nazionale, alla carenza di personale formato e all’assenza di una programmazione strutturata per l’estensione alle prime tre classi della primaria.

Nella scuola secondaria di primo e secondo grado, l’educazione fisica è formalmente parte integrante del curriculum, ma il suo peso orario resta limitato a due ore settimanali, nonostante le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che indicano un minimo di 60 minuti di attività fisica giornaliera per bambini e adolescenti. Questo squilibrio si riflette negativamente sulla qualità dell’educazione motoria e sull’efficacia delle azioni di prevenzione del drop-out sportivo.

Anche le Linee guida per l’educazione fisica, sportiva e motoria del Ministero dell’Istruzione (MIUR), aggiornate nel 2022, riconoscono l’importanza dell’attività sportiva per lo sviluppo psicofisico dei giovani, ma restano prive di una forza cogente. In assenza di un obbligo normativo vincolante e di un sistema di monitoraggio sistemico, tali indicazioni rischiano di rimanere inattuate.

Un altro nodo giuridico rilevante riguarda l’integrazione tra scuola e associazionismo sportivo. L’art. 33 del D.lgs. n. 36/2021, attuativo della riforma dello sport, prevede l’istituzione di un “Sistema nazionale di certificazione delle competenze sportive”, volto a riconoscere le esperienze maturate in ambito extra-scolastico e a favorire il dialogo tra scuola e organizzazioni sportive. Tuttavia, il regolamento attuativo di tale sistema non è ancora pienamente operativo, e molti istituti scolastici non hanno strumenti per riconoscere formalmente tali competenze nel percorso educativo degli studenti.

Infine, il principio costituzionale di eguaglianza sostanziale (art. 3, comma II, Cost.) impone alle istituzioni di rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione alla vita sociale, culturale e sportiva. La disomogeneità territoriale nell’accesso alle strutture, la mancanza di fondi specifici per i progetti sportivi scolastici e la carenza di sinergia tra MIUR, enti locali e CONI determinano una violazione implicita di tale principio, soprattutto in danno alle fasce giovanili più vulnerabili.

Pertanto, è necessario che il sistema scolastico assuma un ruolo attivo e giuridicamente riconosciuto nella promozione dell’attività sportiva, non solo come veicolo di salute e benessere, ma anche come diritto fondamentale e strumento educativo di cittadinanza. Questo richiede un coordinamento più stringente tra normativa scolastica e sportiva, il rafforzamento delle competenze motorie nel curricolo, l’attuazione effettiva delle riforme previste e una politica pubblica che ponga la promozione sportiva giovanile al centro dell’agenda educativa nazionale.

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3. LO SPORT EXTRA-SCOLASTICO

Una particolare attenzione merita il settore dello sport extrascolastico, che rappresenta, di fatto, il principale ambito di pratica sportiva per i giovani.

In Italia, la rete delle associazioni e società sportive dilettantistiche costituisce la spina dorsale del sistema sportivo giovanile, svolgendo un ruolo educativo, sociale e sanitario che si affianca – e spesso supplisce – a quello delle istituzioni scolastiche. Tuttavia, tale sistema opera in un quadro giuridico frammentato e con risorse spesso inadeguate.

Il D.lgs. n. 36/2021 ha introdotto novità rilevanti anche per il settore dilettantistico, imponendo obblighi di tutela nei confronti dei minori, come la nomina di un responsabile per la protezione dei minori all’interno delle organizzazioni sportive e l’obbligo di adottare codici di condotta contro abusi e discriminazioni. Tali disposizioni rispondono a una crescente sensibilità verso la sicurezza e il benessere dei giovani atleti, ma restano criticità legate all’effettiva applicazione e ai controlli sul territorio.

Un ulteriore nodo giuridico riguarda il riconoscimento delle competenze acquisite in ambito extrascolastico. Il Sistema nazionale di certificazione delle competenze sportive – ancora in fase di attuazione – dovrebbe consentire una più efficace integrazione tra esperienze sportive informali e percorsi educativi formali. Tuttavia, manca un quadro normativo che garantisca la valorizzazione di tali competenze in modo uniforme su scala nazionale.

Infine, il ruolo degli enti locali, pur riconosciuto dalla normativa, è spesso disomogeneo: la promozione dello sport giovanile dipende dalla volontà politica e dalle risorse disponibili nei singoli Comuni o Regioni. Questa variabilità produce forti diseguaglianze nell’accesso allo sport extrascolastico, in violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

È dunque necessario rafforzare il coordinamento interistituzionale tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali, prevedere finanziamenti strutturali per le associazioni sportive dilettantistiche e promuovere un modello integrato in cui scuola e sport extrascolastico cooperino per garantire a tutti i giovani un percorso sportivo continuativo, sicuro e accessibile.

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3. PROPOSTA E PROSPETTIVE DI RIFORMA

Di fronte alla complessità e alla multidimensionalità dell’abbandono sportivo giovanile, è indispensabile una strategia riformatrice che intervenga su più fronti: costituzionale, scolastico, amministrativo, culturale e sociale. In primo luogo, sarebbe auspicabile una riforma costituzionale che riconosca esplicitamente il diritto allo sport come diritto sociale fondamentale, in analogia a quanto previsto in altri ordinamenti europei. Un simile riconoscimento, oltre a rafforzare la tutela giuridica, avrebbe importanti effetti sistemici, legittimando l’adozione di politiche attive più incisive e omogenee sul territorio nazionale.

Sul versante scolastico, occorre rivedere in profondità l’organizzazione dell’educazione motoria. La presenza del docente specializzato nella scuola primaria dovrebbe essere estesa a tutte le classi, superando l’attuale avvio limitato alle sole quarte e quinte. È necessario anche un incremento delle ore di educazione fisica in tutti i cicli scolastici, in linea con le raccomandazioni internazionali che suggeriscono almeno un’ora quotidiana di attività fisica per bambini e adolescenti. Questo impone una riformulazione dei curricoli scolastici, con il riconoscimento dell’attività motoria come componente essenziale della formazione, e non come semplice appendice ludico-ricreativa.

L’integrazione tra scuola e sistema sportivo extrascolastico richiede strumenti giuridici certi e operativi. Il Sistema nazionale di certificazione delle competenze sportive, previsto dal D.lgs. n. 36/2021, deve essere pienamente attuato e reso funzionale attraverso regolamenti chiari, piattaforme digitali di raccordo e criteri uniformi per il riconoscimento delle esperienze formative maturate nei contesti sportivi. La scuola deve poter dialogare stabilmente con le associazioni e società sportive, valorizzando nel curriculum scolastico le competenze acquisite anche al di fuori dell’ambito formale, in un’ottica di apprendimento permanente e personalizzato.

Affinché lo sport giovanile non sia vincolato alla disponibilità economica delle famiglie o alla fortuna geografica, è indispensabile un finanziamento pubblico strutturale. L’istituzione di un Fondo nazionale per lo sport giovanile integrato potrebbe garantire risorse stabili a supporto di attività motorie curricolari ed extracurricolari, formazione degli insegnanti, aggiornamento delle attrezzature e collaborazione con gli enti territoriali. Tale fondo dovrebbe essere alimentato anche da forme di partenariato con fondazioni, imprese e soggetti del terzo settore, in un quadro di responsabilità sociale condivisa.

Un’altra misura necessaria riguarda la raccolta sistematica di dati sul fenomeno del drop-out sportivo, con indicatori disaggregati per genere, età, contesto socioeconomico e territorio. La creazione di un sistema nazionale di monitoraggio, gestito congiuntamente da MIUR, Dipartimento per lo Sport, ISTAT e CONI, consentirebbe di orientare le politiche pubbliche su basi empiriche, di individuare le aree più critiche e di valutare l’efficacia degli interventi nel medio e lungo periodo.

Infine, ma non per importanza, è essenziale promuovere una cultura sportiva che metta al centro il benessere psicofisico della persona, il rispetto dei tempi di crescita, la valorizzazione delle diversità e la funzione educativa dello sport. Occorre contrastare modelli comunicativi e pratiche organizzative che privilegiano l’agonismo esasperato o l’elitarismo, per restituire allo sport la sua vocazione originaria di esperienza formativa, relazionale e comunitaria. Solo in questo modo sarà possibile trasformare lo sport in un diritto effettivo, accessibile e sostenibile per tutti i giovani.

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4.CONCLUSIONI

Il fenomeno dell’abbandono sportivo giovanile si configura come una vera e propria emergenza educativa, sanitaria e sociale, che impone risposte sistemiche e coordinate. Il diritto allo sport emerge come componente essenziale della cittadinanza attiva e del benessere psico-fisico dei minori. L’attuale disallineamento tra le politiche scolastiche, le iniziative sportive extrascolastiche e il quadro normativo vigente costituisce un ostacolo alla creazione di percorsi sportivi stabili, inclusivi e accessibili.

Non basta riconoscere il valore formativo dello sport: occorre strutturarlo come parte integrante del progetto educativo della persona, agendo a livello legislativo, organizzativo e culturale. Investire nello sport giovanile significa prevenire forme di disagio, contrastare le diseguaglianze sociali, promuovere coesione e partecipazione. È necessario rafforzare il legame tra scuola e associazionismo sportivo, valorizzare le competenze acquisite in ambito non formale, assicurare un accesso equo su tutto il territorio nazionale, tutelare i giovani da ogni forma di abuso o discriminazione.

Solo attraverso una visione integrata e interistituzionale sarà possibile arginare il drop-out sportivo e garantire a ogni ragazzo e ragazza il diritto di crescere anche attraverso lo sport. Non si tratta solo di una questione educativa o sanitaria, ma di una scelta politica e culturale che incide profondamente sul futuro delle nuove generazioni.

Milano, 4 giugno 2025

Dott. Simone Gazzi

5. RIFERIMENTI

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