LA SCRIMINANTE DEL RISCHIO CONSENTITO – PARTE PRIMA
1. INTRODUZIONE: IL CASO DI EDOARDO ZATTIN
Negli scorsi giorni ho appreso della triste vicenda che ha visto coinvolto il diciottenne Edoardo Zattin, pugile amatoriale originario di Este in provincia di Padova, morto il 24 febbraio dello scorso anno in seguito a un’emorragia cerebrale incorsa durante una sessione di allenamento.
Come riferito dai testimoni presenti nella palestra e successivamente confermato dagli inquirenti, il ragazzo aveva da poco terminato una sessione di “sparring”, termine con il quale, almeno negli sport di combattimento, si indica comunemente una sessione di allenamento caratterizzata dalla messa in atto dei gesti tecnici appresi durante la pratica sportiva, che sfocia generalmente nella “simulazione di un incontro” della durata di una o più riprese (o round).
Per prevenire il verificarsi di eventi lesivi i vari regolamenti federali impongono il rispetto di stringenti obblighi quale, a titolo esemplificativo, il necessario utilizzo di strumenti di protezione come caschetti, paradenti o guantoni con un certo grado di imbottitura.
Purtroppo, considerata la natura di tali pratiche sportive (ove la vittoria si consegue con la “prevaricazione” sull’avversario sul piano eminentemente fisico), anche il rigoroso rispetto delle prescrizioni federali non è di per sé sufficiente ad escludere totalmente l’eventualità di eventi lesivi che, sebbene meno ricorrenti nella prassi rispetto al passato, si verificano tutt’oggi tanto nelle sessioni di allenamento quanto nelle competizioni ufficiali.
Il caso di Edoardo, pur nella sua tragicità, ci offre lo spunto per trattare di un istituto tipico della materia sportiva e spesso menzionato quando si parla di sport a c.d. contatto necessario (quali le arti marziali): sto parlando della c.d. scriminante del rischio consentito.
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2. IL CONCETTO DI “SCRIMINANTE”
Quando si parla di “rischio consentito” ci si riferisce ad un istituto di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, generalmente (ma non universalmente) ricondotto alla categoria delle cause di giustificazione, più comunemente dette “scriminanti”.
Trattasi di istituti tipici del diritto penale – disciplinati agli artt. 50 e ss. c.p. – che identificano una serie di situazioni in presenza delle quali una determinata condotta, che generalmente costituirebbe una fattispecie rilevante sotto il profilo penale, viene “depenalizzata” da parte dell’ordinamento statale, il quale accorda tutela prevalente ad un interesse diverso da quello protetto dalla norma incriminatrice.
In buona sostanza, la scriminante va da elidere il carattere dell’antigiuridicità della condotta (ossia la sua contrarietà ad una norma imperativa di legge) la quale, insieme alla tipicità della condotta (la sua corrispondenza a quella indicata dalla norma incriminatrice) e alla colpevolezza (la presenza dell’elemento soggettivo del dolo, della colpa o della preterintenzione), rappresenta uno degli elementi costitutivi della fattispecie di reato.
Nonostante l’irrilevanza sotto il profilo penale, l’applicazione della scriminante non esclude necessariamente la rilevanza della condotta sotto il profilo civilistico, con conseguente responsabilità del reo a titolo di risarcimento del danno.
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3. LA SCRIMINANTE DEL “RISCHIO CONSENTITO”
Quando si parla di accettazione del “rischio consentito” si va quindi ad identificare una scriminante atipica, la quale non trova espressa codificazione né all’interno del codice penale né tantomeno delle normative federali, ma che si ricava per astrazione dalla scriminante del consenso dell’avente diritto di cui all’art. 50 c.p.
La scriminante in oggetto va ad escludere la rilevanza penale della lesione del diritto protetto dalla norma, nel caso in cui quest’ultima intervenga con il consenso del titolare del diritto che può validamente disporne.
L’operatività della scriminante presuppone la capacità di agire (agli effetti penali) del consenziente, il consenso validamente prestato e la disponibilità del diritto; nel diritto penale si suole infatti distinguere tra diritti disponibili e indisponibili, a seconda che il titolare possa disporne o meno (il diritto alla vita, ad esempio, è un diritto indisponibile e il consenso del titolare ad essere privato della stessa non escluderebbe mai la responsabilità penale dell’omicida).
Perché il consenso sia validamente prestato è necessario che quest’ultimo sia:
- libero, ossia non indotto da violenza, dolo o errore;
- effettivo, ossia comprovante la reale volontà del soggetto;
- attuale, ossia sussistente al momento dell’integrazione della condotta criminosa;
- determinato, ossia comprendente l’oggetto, le modalità e le conseguenze dell’integrazione della condotta.
Tornando al rischio consentito, la scriminante troverebbe quindi la sua ragion d’essere nell’accettazione (e quindi nel consenso) da parte dell’atleta dell’eventualità che la sua integrità psico-fisica possa essere minata per effetto di eventi incorsi durante la pratica sportiva e alla stessa teleologicamente connessi, escludendosi quindi gli eventi lesivi che siano totalmente avulsi rispetto alle dinamiche della pratica sportiva.
Allo stesso tempo, si ritiene generalmente necessario che la carica violenta sia proporzionata alle caratteristiche della disciplina sportiva praticata e al grado di agonismo insito alla competizione.
Pare quindi evidente come sia impossibile individuare un parametro unico da applicare a tutti gli sport, non solo in funzione della moltitudine e dell’eterogeneità delle discipline sportive interessate, ma altresì del differente livello delle competizioni di riferimento (che spaziano dal professionismo all’amatoriale).
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4. CONCLUSIONI
Con il presente contenuto abbiamo iniziato a tracciare i confini della scriminante del rischio consentito, cercando di inquadrarla nel modo più chiaro possibile all’interno delle categorie tipiche del diritto penale.
Ad ogni modo, il dibattito intorno al tema è più vivo che mai e diversi sono i profili di criticità ascritti all’impostazione di cui sopra dai tecnici della materia.
Per questo motivo, ritengo più utile tornare sul tema con un secondo contenuto, nel quale daremo specifico conto delle criticità di cui sopra, anche alla luce della recente pronuncia della Cassazione con sentenza 21 ottobre 2021, n. 3284, la quale ha fornito delle inedite chiavi di lettura per una nuova analisi dell’istituto.
Milano, 2 marzo 2024
Avv. Andrea Melis