IL CASO LIA THOMAS

1. CHI È LIA THOMAS

Lia Thomas, nata come Will Thomas ad Austin, Texas, nel 1995, è una nuotatrice transgender specializzata nelle distanze dei 500, 1000 e 1650 yard stile libero.

Nel 2017, Thomas si iscrisse all’Università della Pennsylvania, dove iniziò la sua carriera natatoria gareggiando con i colleghi maschi. Tuttavia, durante il secondo anno alla UPenn, decise di fare coming out con la propria famiglia, continuando però a nascondere la propria identità sessuale a compagni e Università.

Nella stagione successiva, quella tra il 2018 ed il 2019, Thomas ottenne grandi prestazioni, classificandosi al secondo posto in tutte e tre le sue gare all’Ivy Championship, la competizione tra le università della Ivy League. Questi risultati le aprirono le porte per una possibile partecipazione ai campionati NCAA e ai trials per le Olimpiadi di Tokyo 2020.

Verso la fine della stessa stagione, all’insaputa di allenatori e compagni, Thomas decise di iniziare una terapia ormonale, così da poter gareggiare nelle competizioni femminili, in linea con quanto stabilito dal regolamento NCAA che permetteva agli atleti trans di competere dopo almeno un anno di terapia ormonale.

Nella stagione 2021/2022, a poco più di due anni dall’inizio del suo percorso di transizione, Thomas riuscì ad entrare a far parte della squadra femminile, ottenendo ottimi risultati e stabilendo vari record, attirando così su di lei l’attenzione del pubblico e dei media.

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2. IL CAMBIO DI REGOLAMENTO

La normativa generale sulla partecipazione di atleti transgender nelle competizioni agonistiche è sempre stata scarna e poco chiara.

Nel 2021, il Comitato Olimpico Internazionale decise di affidare alle singole federazioni il compito di stilare propri regolamenti riguardanti l’inclusione delle persone trans e intersex.

In questo quadro normativo, non vincolante, il Comitato raccomandava alle federazioni di «non precludere o escludere nessun atleta dalle competizioni sulla base di un non verificato, presunto o percepito vantaggio ingiusto che riguardi variazioni sessuali, aspetto fisico o identità transgender».

Il risultato, in alcuni casi, fu esattamente opposto a quello sperato: molte federazioni decisero infatti di escludere le donne trans, prevedendo la possibilità di partecipazione di atlete transgender solo in specifici casi. Una di queste fu proprio la World Aquatics, che aveva precedentemente stabilito che gli atleti transgender potessero partecipare alle competizioni dopo aver iniziato il percorso di transizione da almeno due anni, proprio come fece Lia Thomas.

Ad ogni modo, le alte prestazioni fornite da Thomas e, in particolare, la vittoria sulla collega Emma Weyant, medaglia d’argento olimpica nei 400 misti a Tokyo 2020, scatenarono numerose polemiche e critiche all’interno del mondo natatorio.

Questo episodio portò quindi la World Aquatics a modificare la normativa precedente. Nel 2022, infatti, l’organo di governo del nuoto mondiale decise di cambiare i requisiti di partecipazione per gli atleti transgender, stabilendo che il periodo di transizione dovesse iniziare prima dell’età puberale, ossia prima dei 12 anni.

Questa nuova regola, a ben vedere, escludeva quasi tutti gli atleti transgender, essendo alquanto improbabile che qualcuno potesse prendere una decisione così complessa in età così giovane. Di conseguenza, Lia Thomas perse la possibilità di gareggiare con le proprie colleghe ai Giochi Olimpici di Parigi 2024.

A seguito di tale decisione l’atleta decise di fare ricorso alla World Aquatics, sostenendo che le loro decisioni fossero “non valide e illegali”, in quanto lesive della Carta Olimpica, dello statuto della federazione e della legge svizzera, oltre che della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e della Convenzione sui diritti umani.

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3. IL RICORSO

Il ricorso presso il Tribunale di Losanna effettuato dalla nuotatrice Lia Thomas portò altri atleti a far sentire la loro voce e a richiedere una modifica delle disposizioni vigenti.

Nello stesso periodo, al grido di “il problema sono le regole”, dodici nuotatrici, due atlete, una tennista e una giocatrice di pallavolo fecero causa alla NCAA e alla Georgia Tech per aver consapevolmente violato il Titolo IX, legge federale e colonna della giurisdizione egalitaria americana che vieta la discriminazione su base sessuale nei programmi educativi che ricevono assistenza finanziaria dal governo.

Il ricorso effettuato dalla Thomas e le successive vicende normative scaturite dal caso stesso accesero i riflettori sul tema, portando molta attesa e indecisione in merito alla sentenza del Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna. Questo si pronunciò il 12 giugno 2024, quasi due anni dopo il ricorso effettuato dall’atleta.

Ciò che risultò sconvolgente, tuttavia, non fu tanto la decisione, quanto le sue motivazioni.

Il CAS rigettò infatti il ricorso effettuato dall’atleta, adducendo come motivazione che la stessa non avesse i requisiti necessari per fare causa a World Aquatics. La giuria concluse che “poiché l’atleta non ha il diritto di partecipare a una “Gara d’Elite” ai sensi della politica di USA Swimming, e tanto meno di competere in una competizione World Aquatics, il che avviene dopo la registrazione a World Aquatics prima di una competizione o dopo aver stabilito una prestazione che porta a una richiesta di registrazione come record mondiale World Aquatics, non ha semplicemente il diritto di partecipare alle competizioni World Aquatics.

In sostanza, dato che la Thomas non gareggiava dai campionati NCAA del 2022, e quindi da oltre due anni, e non essendo iscritta a USA Swimming, questa semplicemente non aveva i requisiti per far causa alla World Aquatics, chiudendo così la causa prima ancora che iniziasse.

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4. CONSIDERAZIONI FINALI

Il caso di Lia Thomas è solo uno degli innumerevoli casi di atlete e atleti transgender esclusi dalle manifestazioni sportive di alto livello. Trovare una soluzione univoca e pacifica, tuttavia, è molto difficile, se non impossibile.

I tentativi di regolamentazione sono stati vari.

Alcuni studiosi propongono di approvare o meno la partecipazione delle atlete transgender nelle competizioni femminili in base al loro livello di testosterone. Tuttavia, anche l’atleta cisgender con il maggior numero di testosterone non raggiungerà mai il livello di testosterone di un atleta transgender, il che rende anche questa soluzione difficilmente percorribile.

Questa soluzione, quindi, risulta poco percorribile.

Un’ulteriore proposta, sviluppata nel nuoto durante la Coppa del Mondo di Berlino, è quella della categoria “aperta”, una categoria extra dove potrebbero gareggiare gli atleti che hanno cambiato sesso. Anche questa prospettiva, tuttavia, è poco percorribile, poiché si andrebbe a creare, nel tentativo di proporre una politica antidiscriminatoria, un’ulteriore e diversa discriminazione.

In conclusione, in un contesto normativo dove lo sport deve essere garantito e aperto a tutti, la questione relativa agli atleti transgender è sicuramente complessa e di difficile soluzione. Nel caso di Lia Thomas, il CAS riesce a sviare la decisione adducendo la mancanza dei requisiti per il ricorso, ma non sempre questo potrà accadere. Gli organi federali dovranno quindi prendere una decisione chiara e definitiva su tali casi, in attesa di una normativa precisa e puntuale.

Per un maggiore approfondimento https://hermessportslaw.com/soluzioni-linclusione-atleti-trans/.

Milano, 10 Luglio 2024

Dott. Simone Gazzi

5. RIFERIMENTI

1) La nuotatrice transgender statunitense Lia Thomas non potrà gareggiare alle olimpiadi di Parigi – Il Post

2) «Costrette a spogliarci e gareggiare contro transgender», le ragazze fanno causa alla NCAA – Tempi.it

3) Lia Thomas perde la causa legale: la nuotatrice transgender non potrà partecipare alle olimpiadi di Parigi – Il Fatto Quotidiano

4) Il dibattito sul corpo di Lia Thomas – Ultimo Uomo

5) Respinta la richiesta di appello di Lia Thomas contro le regole per le transgender – SwimSwam